L’auto europea è ferma in corsia d’emergenza, ma nessuno sembra voler scendere per cambiare la ruota bucata. Troppa fatica, meglio lasciarla lì, sperando che passi il “divino Elon” con il carro attrezzi a raccogliere le CO2 in eccesso.
Intanto i grandi manager (dimissionari e non), stipendi a sei zeri e responsabilità a zero, ci spiegano che la colpa è dei cinesi, troppo bravi a fare ciò che loro non fanno più: auto belle, tecnologiche e accessibili.
Poi c’è Bruxelles, che invece di domandarsi perché stiamo affondando, si diletta a calcolare quante emissioni produce il salvagente. Ma nessuno parla di un “whatever it takes” per salvare l’auto, come fece Draghi per l’euro. Forse perché salvare l’euro significava tutelare le banche, mentre salvare l’auto significherebbe tutelare chi lavora davvero.
E così, mentre la Cina accelera e gli Stati Uniti sterzano, l’Europa resta parcheggiata, prigioniera di regole assurde, slogan ecologisti e una classe dirigente che confonde l’inazione con la virtù. In fondo, la crisi dell’auto non è che il riflesso della crisi di un continente: un museo delle intenzioni, senza un’idea chiara su dove andare. Però tranquilli, a forza di restare fermi, presto l’auto europea sarà perfettamente carbon neutral. Perché sarà scomparsa. Non c’è più tempo, è ora di agire, whatever it takes!