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Harley-Davidson FX Super Glide: il brutto anatroccolo diventato Cigno

La presenza dell'ASI alla rassegna torinese Automotoretrò (Torino, 8-9-10 febbraio 2013) sarà improntata ai temi della storia e della cultura.
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Alla fine degli anni ‘60 la Harley-Davidson deteneva circa il 15% del mercato motociclistico statunitense. Non molto per essere l’unica Casa americana rimasta in attività dopo il tracollo della storica avversaria Indian.

Colpa dei giapponesi, la cui offensiva anche sul terreno delle moto di grossa cilindrata era appena iniziata. La vecchia ‘Motor Company’ era in evidente difficoltà e aveva necessità di trovare chi fosse disposto a sostenerla nella difficile battaglia per la sopravvivenza.

Occorreva rivolgersi a un pubblico nuovo, diverso e più vasto di quello tradizionalmente legato alle due ruote, che per l’americano medio era ancora legato all’immagine degli Hell’s Angels e alle reminiscenze del film “Il selvaggio” con Lee Marvin e Marlon Brando.

Il periodo AMF

L’orgoglio di voler continuare a tutti i costi la tradizione dei fondatori vacillò di fronte all’offerta  della AMF, acronimo di American Machine & Foundry Corporation, che acquisendo nel 1969 il Marchio portò a Milwaukee una ventata di novità, sia a livello manageriale sia di tecnologia.

Un’operazione che però, col tempo, non si rivelerà del tutto positiva, ma che contribuì comunque a tenere a galla l’azienda in un periodo decisamente difficile.

Willy G. Davidson

In quest’aria di rinnovamento, uno dei nipoti dei fondatori, fresco diplomato alla scuola di Design di Pasadena, California, assume un ruolo chiave per raccogliere informazioni sui gusti del pubblico americano.

Frequentò i luoghi di incontro dei ‘bikers’ e raccolse dati oggettivi per poter decidere le successive strategie.  Ne venne fuori che il motociclista si andava orientando verso una moto sempre più personalizzata, come dimostravano gli infiniti accessori disponibili sul mercato e che alimentavano il fiorente mercato dei “chopper”, resi famosi in Europa da un altro “cult movie”, Easy Rider.

Molte officine dei concessionari, per soddisfare questa esigenza dei clienti, smontavano e modificavano le vecchie Harley-Davidson, arricchendole coi pezzi speciali fabbricati da una vera e propria industria parallela dell’accessorio.

Fu dunque deciso che la AMF Harley-Davidson doveva produrre una moto che già di serie sembrasse una Special, giocando non tanto sul contenuto tecnico ma su linee fuori dagli schemi tradizionali.

Harley-Davidson FX Super Glide
La Harley-Davidson FX Super Glide del 1971
Poca spesa tanta resa

L’idea fu quella di partire dagli estremi. La Harley-Davidson produceva la grossa Electra Glide, ovvero la moto americana per antonomasia, dotata del V Twin di 1200 cc con l’avviamento elettrico e cambio separato a quattro marce. La vera moto americana.

Per chi voleva invece ispirarsi al motociclismo europeo, ma non voleva tradire la bandiera a stelle e strisce, c’era la Sportster, il cui bicilindrico aveva il cambio in semi blocco, cilindrata di 900 cm3 e circa un quintale in meno di metallo da portare a spasso.

Harley-Davidson FX Super Glide
Il motore era quello della Elettra Glide

Della FLH, questa la sigla della Electra, furono mantenuti il telaio e il motore, privato però del motorino di avviamento e della pesante batteria.

Dalla XLCH Sportster furono prelevati l’avantreno, con la snella ruota da 19”, il freno a tamburo, l’esile forcella a steli scoperti e il piccolo faro sormontato dalla ‘palpebra’ in alluminio lucidato.

Un’operazione che si poteva fare in qualunque officina o addirittura garage di casa, all’insegna della semplificazione e dell’eliminazione del superfluo, ma che era supportata dalla qualità di un prodotto industriale e garantito dalla Casa.

Tocco finale, un caratteristico monoblocco in vetroresina che fungeva da supporto della sella e da parafango e che si ispirava al posteriore definito boat-tail di talune carrozzerie delle automobili Packard e Duesemberg degli anni ‘30.

Harley-Davidson FX Super Glide
Il famoso ‘Boat Tail’ in vetroresina

In effetti il boat-tail non era una novità assoluta, poiché era già un accessorio disponibile per la Sportster che peraltro non aveva avuto grande seguito, poiché toglieva alla ‘piccola’ tra le V Twin la leggerezza estetica che era la chiave del suo successo.

Ultimo tocco la verniciatura che nell’abbinamento del bianco, rosso e blu, andava a solleticare l’istinto patriottico americano.

Investimento per il futuro

Quando la Harley-Davidson FX Super Glide fu presentata al pubblico l’effetto non fu quello sperato. Probabilmente il pubblico più fedele al Marchio non era ancora pronto per la rivoluzione che Super Glide stava iniziando.

E poi la mancanza dell’avviamento elettrico era un handicap non indifferente. Avviare col pedale quel grosso bicilindrico non era un compito facile, e rischiare di fare ‘cilecca’ di fronte agli amici fu un limite che fece recedere molti potenziali clienti.

E così nel 1971 la Harley-Davidson FX Super Glide vendette meno della Sportster e delle altre versioni più tradizionali. Andò un po’ meglio dal 1972, quando la parte posteriore riprese sembianze più ortodosse, col ritorno al classico sella e parafango. E nel 1974, quando alle due lettere fu aggiunta una E che significava il ritorno dell’avviamento elettrico, le vendite migliorarono ulteriormente.

Ma nonostante la tiepida accoglienza, la Super Glide fu una moto importante nella storia della Harley-Davidson. Segnò una svolta, creando una tipologia di moto che sarebbe rimasta per sempre nella gamma di Milwaukee e che, praticamente immutata, continua a rappresentare quella che è la ‘custom americana’ per antonomasia.

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