Iniziamo dall’Italia dove di fatto questa storia cominciò, colpita duramente dal secondo conflitto mondiale dove nessuna infrastruttura rimase fuori dal tiro delle bombe. In questo contesto fu subito chiara la necessità di ricostruire il tessuto produttivo e dunque economico capace di attivare un circolo virtuoso di benessere. Per fare ciò occorreva permettere ai lavoratori di spostarsi in modo rapido e personale; un bisogno presto intercettato ad esempio da Vespa, Lambretta e dall’Iso 125 “Isoscooter”. Ebbene si, la Iso perché in quel periodo l’azienda di Renzo Rivolta sita a Bresso alle porte di Milano, si pose come il terzo costruttore nazionale di scooter; ma il progressivo miglioramento delle condizioni economiche portò presto con se il desiderio dell’automobile.
Nel 1952 l’ingegner Ermenegildo Preti, affermato progettista e docente al Politecnico di Milano e Pierluigi Raggi, capace progettista e disegnatore, vennero chiamati da Renzo Rivolta per progettare un veicolo capace di offrire protezione dalle intemperie e spazio per una piccola famiglia mantenendo i costi di acquisto e gestione bassi. Divenne subito chiaro come per ottenere ciò si dovessero abbandonare i concetti base tipici dell’automobile.
Una visione rivoluzionaria

Il progetto fu organizzato dall’interno verso l’esterno, dove si impostarono ingombri e rapporti ergonomici intorno ad un’unico sedile anteriore per 3 persone (due adulti e un bambino); ma l’intuizione principale derivò da diversi riferimenti: da una parte una Tesi di Preti che riguardò il progetto di un’aliante in grado di far sbarcare i mezzi aprendone il muso, dall’altra l’idea che queste piccole vetture si potessero parcheggiare perpendicolarmente al marciapiede, cosicché gli occupanti si sarebbero trovati in sicurezza direttamente su di esso. In questo modo si ingombrava meno, secondo un’idea avanzata di mobilità urbana. Per questo il volante è solidale con la portiera mediante uno snodo cardanico (brevetto Iso) e può spostarsi permettendo l’accesso all’auto quasi in piedi.
Il motore scelto fu l’iconico monocilindrico a “cilindro sdoppiato” (due pistoni imbiellati uno sull’altro si spostano dentro la stessa camera di scoppio) raffreddato ad aria da 236 cc, 9,5 cv, derivato da quello della moto Iso 200, capace di 100 Km con un consumo di 3,75 litri e velocità massima dichiarata di 85 Km/h. Questo fu sistemato dietro il sedile a destra bilanciando il peso del conducente e raggiungibile mediante cofano. Altra scelta tecnica particolare fu quella delle ruote posteriori ravvicinate, utili ad evitare l’uso di un pesante, costoso ed ingombrante differenziale.

Troppo in anticipo
Si passò al disegno della carrozzeria che seguiva il concetto “auto-scooter” e per la quale venne chiesta (dopo la messa in circolazione già di alcuni prototipi che ne anticipavano le forme) l’iniziale consulenza dello stilista Giovanni Michelotti, che produrrà una serie di proposte che forniranno delle linee guida interessanti su cui poi Raggi traccerà con originalità la proposta finale all’insegna della semplicità e dell’aerodinamica. La parte più complessa da accordare fu quella del padiglione con le varie superfici trasparenti: queste vennero incassate in solidi montanti che ricordano le strutture reticolate, mentre sopra gli occupanti si apre un tettuccio utile ad aumentare ricambio d’aria, luminosità e vivibilità interna.
Nel settembre 1953 la Iso Isetta (ovvero piccola Iso) definitiva fu mostrata presso i giardini di Villa Rivolta per poi debuttare al Salone di Torino il 22 aprile 1953 con il prezzo (poco concorrenziale) di 399.000 lire. L’accoglienza da parte del pubblico fu inizialmente buona traducendosi in diversi ordini, ma nel 1954 le vendite effettive erano al di sotto delle aspettative (la previsione era di produrre 50 Isetta al giorno); l’innovativa Isetta non venne compresa dal pubblico italiano, che in breve la giudicò limitante nell’utilizzo e poco conveniente. La piccola di Bresso sembrava spacciata, ma altri compresero la validità del progetto.

Davide che salvò Golia
Nel 1954 Rivolta espose sulla vetrina internazionale del Salone di Ginevra la propria Isetta, mentre un’altro marchio, BMW espose un modello completamente diverso, la grossa berlina 502 “V8”; i due modelli per quanto diversi avevano un punto in comune: lo scarso successo. Il marchio bavarese uscito distrutto dal secondo conflitto era vicino al fallimento, con in gamma solo auto molto costose che mal si conciliavano con una Germania da ricostruire; occorreva un’economica vetturetta da città, possibilmente da costruire su licenza evitando gli insostenibili costi di progettazione.
A quel Salone l’Isetta venne notata da C. A. Drenowatz, importatore BMW in Svizzera, che ne parlò ai vertici BMW. Eberhard Wolff, responsabile del reparto collaudi, il mese dopo fu inviato al Salone di Torino, dove strinse i primi accordi con Renzo Rivolta; i negoziati vennero ultimati poco tempo dopo a Milano da Kurt Donath e Fritz Fiedler (direttore tecnico e responsabile sviluppi BMW) che prevedevano il diritto di rilevare progetti e attrezzature. Già nell’autunno del 1954, la BMW annunciò il lancio di questo nuovo prodotto, con presentazione alla stampa il 5 marzo 1955 durante la quale furono messi a disposizione due esemplari della nuova “BMW 250” che impressionarono i presenti.
Contrariamente a quanto avvenne in Italia, l’Isetta tedesca conobbe un successo di vendite tale che BMW in occasione dell’esemplare numero 50.000, scrisse una lettera di ringraziamenti ed elogi alla Iso per averle venduto il progetto. L’Isetta salvò BMW dalla chiusura. Il successo di questa vetturetta dipese anche dal fatto che in Germania (come anche in Francia e Inghilterra) veicoli di tipo “bubble car” erano una realtà già abbastanza apprezzati, al contrario che in Italia.

Icona per sempre
Rispetto all’Isetta italiana, BMW mantenne quasi per intero il corpo vettura, apportando piccole modifiche, tra le più evidenti il nuovo disegno della griglia di raffreddamento, dei paraurti e i fari alti, mentre internamente fu installato un piccolo impianto di riscaldamento. Meccanicamente la modifica più evidente stava nel nuovo motore monocilindrico R25/3 a quattro tempi con cilindrata di 245 cc e 12 CV, albero a gomiti con supporti rinforzati, frizione monodisco a secco e avantreno a molle elicoidali in acciaio. Per l’impianto frenante vennero mantenuti i due tamburi anteriori così come quello posteriore.
L’Isetta BMW usufruì di continui e significativi aggiornamenti della gamma, tra questi il più profondo riguardò il restyling effettuato da Giovanni Michelotti sul finire del 1955 (come modello 1956) che ridisegnò principalmente la zona del padiglione e dei finestrini, adesso continui e scorrevoli; tale dettaglio convincerà gli uomini del marketing a comunicarla come “Motocoupè” generando la versione Export, che affiancò la Standard (con finestrini tipo Iso). Contestualmente arrivò la versione “300” con motore monocilindrico da 297 cc e 13 CV e nel tempo nacquero persino le varianti Cabriolet e Pick-up; fino al 1961 furono prodotti oltre 160.000 esemplari (contro i circa 1.400 italiani) diventando un mito, mentre nell’ottobre 1956 in Italia la Iso Isetta veniva tolta definitivamente dal mercato svuotando i magazzini.
Autore: Federico Signorelli