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Lancia Beta Montecarlo, l’“incompresa” berlinetta a motore centrale

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Nella storia della produzione automobilistica italiana, le auto a motore centrale sono quasi totalmente appannaggio della Ferrari e della Lamborghini. Le incursioni degli altri marchi, soprattutto dei generalisti, in questo territorio così particolare ed esotico si contano sulle dita di una mano: Alfa Romeo 4C, Fiat X1-9 e Lancia Beta Montecarlo.

Oggi parliamo di quest’ultima, il membro più stravagante della lussuosa famiglia Beta, la prima gamma di auto progettate dalla Lancia dopo l’acquisizione da parte della Fiat. Con tutte queste, però, non ha assolutamente nulla in comune se non il motore. La sua storia è molto particolare e si interseca parzialmente anche con quella della Ferrari e della Fiat di quegli anni. L’idea inziale era quella di creare una vettura stradale pronta per essere trasformata in auto da corsa e competere tanto nelle gare su pista che in quelle su strada. Così il progetto nasce all’inizio degli anni Settanta come collaborazione tra Fiat e Pininfarina.

Lo schema scelto per la Lancia Beta Montecarlo è quello più adatto alle competizioni, con motore centrale e trazione posteriore. L’auto doveva essere pronta nel 1974 e portare il marchio Fiat, per poi essera affidata alla Abarth. Ma nel frattempo a Torino decisero di dare la precedenza alla 131, che aveva bisogno di pubblicità attraverso il motorsport per sostenere le vendite del modello di serie. Così, con la sostituta della Stratos già pronta, il progetto sportivo venne congelato e la X1/20 diventò semplicemente Lancia Beta Montecarlo. Era comunque una splendida auto, molto interessante dal punto di vista dinamico, ma la scelta di dotarla dello stesso 2 litri “Lampredi” bialbero 4 cilindri delle altre Beta, senza nemmeno ravvivarlo un poco, ne penalizzava le prestazioni assolute.

Secondo alcuni, i soli 120 CV vennero mantenuti per non turbare le vendite delle Ferrari con i motori meno potenti, soprattutto la 208 GT4 e la 208 GTB. Ma la gloria per la Beta Montecarlo arrivò lo stesso, solo qualche anno dopo.

Lancia Beta Montecarlo

Come da progetto iniziale, infatti, il telaio della Beta Montecarlo era pensato per poter essere facilmente elabrato e alla Abarth procedettero in due direzioni diverse.

Quella della pista portò alla nascita della Beta Montecarlo Turbo, omologata nel Gruppo 5 e vincitrice per due volte (1980, 1981) del Campionato mondiale sportprototipi, che allora si chiamava Mondiale Marche. Quella del rally, invece, diede i natali alla mitica 037, esponente del Gruppo B e ultima auto a trazione posteriore ad aver conquistato quello che oggi si chiama WRC nel 1983. La base tecnica, del resto, era ottima. Il motore montato in posizione trasversale permetteva di mantenere un interasse compatto; le sospensioni anteriori McPherson erano semplici ed efficienti, mentre le posteriori a bracci oscillanti triangolari consentivano di controllare bene i movimenti delle ruote.

Oggi il suo valore può oscillare molto a seconda della storia del modello e dello stato di conservazione, ma con meno di 20.000 euro si può portare a casa un esemplare perfetto. Se invece si tratta di un modello impiegato nelle competizioni, il discorso cambia completamente.

Neopatentato

Alessandro Vai

Le auto e i motori, una passione diventata una ragione di vita. Volevo fare il pilota ma poi ho studiato marketing e ora il mio mestiere è scrivere

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