Matteo Salvini voleva fermare gli NCC ai box per 20 minuti tra una corsa e l’altra, ma il TAR del Lazio gli ha spento il semaforo verde. Con una sentenza che sconfessa il decreto 226/2024, infatti, i giudici amministrativi hanno smontato pezzo per pezzo il provvedimento voluto da “Capitan Pausa”: via la pausa forzata, via il divieto di lavorare con hotel, agenzie e Uber, via pure l’obbligo di far partire ogni corsa da dove finiva la precedente – una specie di Monopoli della mobilità dove però l’unica casella era il parcheggio.
Salvini, secondo il TAR, provava a dare una mano ai taxisti rallentando gli NCC, trasformando il mercato in una pista a ostacoli. Il risultato? Una norma che avrebbe allungato le code fuori da stazioni e aeroporti, condannando turisti e cittadini ad attese da bollettino di guerra.
Il capo di Uber Italia l’ha chiamato “decreto allunga-code” perché in Europa l’attesa media per una corsa è cinque minuti, in Italia il governo voleva portarla a venti. Più che un decreto, un sabotaggio.
Il TAR ha risposto con una staccata degna di Verstappen: “i vincoli non sono ragionevoli né proporzionati” e soprattutto non servono a nulla se non a ridurre l’offerta e a far lievitare i prezzi. A proposito di rientri in rimessa, Salvini farebbe bene a ricordare che la Corte Costituzionale aveva già bocciato questa trovata nel 2020. Riproporla quattro anni dopo con un nome diverso non l’ha resa meno illegittima. Ora si aspetta la sentenza definitiva, ma il segnale è chiaro: la mobilità non si governa con i divieti, e la domanda resta: a chi conviene una mobilità più lenta e meno concorrenziale? Di sicuro non agli utenti.