8 morti al giorno. Più di 3.000 all’anno, più di una guerra a bassa intensità. Eppure, gli incidenti stradali in Italia non fanno rumore. Forse perché non c’è un virus da incolpare, né un terrorista da sbattere in prima pagina. Morire sulla strada è roba da bollettino ferroviario, fastidiosa come una buca sulla tangenziale.
Per fare un confronto (scomodo ma necessario), nel 2024 i femminicidi sono stati 114, una tragedia su cui – giustamente – si discute ogni giorno e i morti sul lavoro circa 1.000. Le vittime della strada, invece, sono un numero spropositato se paragonato, senza contare gli oltre 220.000 feriti.
I dati dicono che nel primo semestre 2024 le vittime sono aumentate del 4% rispetto allo scorso anno, con un’impennata nelle città (+7,9%). Ma tranquilli, la soluzione è sempre la stessa: qualche convegno, un minuto di raccoglimento, due multe in più e via. D’altronde, l’Italia è il Paese con più auto pro capite d’Europa: 694 ogni 1.000 abitanti.
Le cause? Distrazione (leggi: smartphone mentre si guida), alta velocità (per recuperare i 30 minuti persi in coda) e strade urbane che sembrano test di resistenza per sospensioni. Ma c’è anche un’altra verità scomoda: il parco auto è vecchio, la manutenzione costa un rene, e tra bollo, assicurazione e carburante, molti guidano fino all’ultima goccia d’olio e con auto in condizioni limite se non oltre..
L’Europa ci chiede di dimezzare le vittime entro il 2030, ma qui si va contromano: la sicurezza è un costo, la prevenzione un fastidio, e la formazione? Un optional, come l’ABS su un’utilitaria degli anni ’90. Così il massacro continua, in silenzio. Tanto, finché non ci tocca da vicino, è solo una notizia di cronaca. È ora di trattare questa strage per quello che è: un’emergenza nazionale.