E’ arrivata sul nostro mercato poco più di un mese fa, ma gli appassionati l’avevano già potuta vedere all’EICMA 2018 nello stand della Casa giapponese. Parliamo della Suzuki Katana, che segna il gradito ingresso della Suzuki nel settore revival, ovvero quello riservato alla clientela che vuole assaporare il gusto del motociclismo classico senza rinunciare ai pregi di una moderna moto adatta al traffico odierno e con prestazioni che, quando richiesto, sono da vera sportiva dell’anno 2019.
Un po’ di storia
Invitiamo i nostri lettori a dare uno sguardo alla sezione ‘Classic’ del nostro sito per leggere la storia della Katana ‘vera’ e capire così il perché questa moto così iconica sia stata scelta da Suzuki per opporsi alla Kawasaki Z900RS, alla Honda CB1100 EX, tanto per restare nel ‘made in Japan’, e anche a Triumph Bonneville, BMW R nineT e Moto Guzzi V7 III che però affondano le loro radici in epoche più lontane, ovvero gli anni ’60-’70.
La Katana debuttò nel 1980 al Salone di Colonia dove stupì tutti con un’estetica che per una moto di serie, per di più giapponese, era decisamente fuori dalle convenzioni dell’epoca. Alla Suzuki, forti di un motore eccezionale quale era il loro bialbero di 1100 cc, decisero di puntare più sullo stile che non sull’innovazione tecnica della ciclistica e questo, tramite Manfred Becker, il responsabile marketing dell’importatore tedesco, affidarono l’incarico di sviluppare un modello di stile sulla meccanica della GSX1100E a Target Design.

Questo era uno studio di design fondato da Hans Muth insieme a due soci, Hans-Georg Kasten e Jan Fellstrom. Muth aveva collaborato con la BMW per ‘vestire’ la BMW R100RS e le R45 ed R65, creando pure la R65LS che montava un caratteristico cupolino. Fellstrom aveva lavorato prima alla Porsche e poi alla BMW e e lo stesso aveva fatto Kasten. E fu proprio Fellstrom ad eseguire i primi bozzetti di stile e a recarsi in Giappone con Kasten per seguire l’industrializzazione della nuova moto. , che alla fine fu davvero vicina alle linee del prototipo. La presentazione della GSX1100S Katana alla dirigenza Suzuki avvenne nel luglio del 1980 mentre la ‘world premiere’, come abbiamo ricordato, avvenne nell’autunno a Colonia. La moto fu messa in produzione nel 1981 sia nella cilindrata di 1100 cc sia nelle versioni più piccole di 550 e 750 cc, da molti considerata quella più adatta a sfruttare una moto di questo tipo.

Anno 2019: il ritorno
E’ indiscutibile che nel 1981 le concorrenti ricevettero una vera e propria ‘sciabolata’ dalla Katana – che ricordiamo è il nome della leggendaria arma dei Samurai – e questo deve aver fatto pensare a Suzuki che un effetto simile poteva essere ripetuto anche oggi, essendo le concorrenti nel settore delle moto ‘revival’ tutte piuttosto simili, dal punto di vista del design, alle loro antenate. E così, come all’epoca fece con Target Design, questa volta è stato Rodolfo Frascoli, di Frascoli Design, a ricevere l’incarico di proporre uno studio di stile.
E il risultato finale, a nostro giudizio, ha colto perfettamente nel segno: la nuova Katana si distingue dalle concorrenti proprio come fece quasi quarant’anni fa quella ‘vera’, pur con gli inevitabili vincoli imposti da una base meccanica e ciclistica ben diversa dall’originale, oltre a quelli dettati da quarant’anni di evoluzione della sicurezza attiva e passiva delle motociclette. Chiusi i sentimentalismi veniamo ad analizzare la moto oggetto della nostra prova, che abbiamo portato sulle tortuose strade delle colline torinesi e poi in officina, presso la Suzuki Italia, per analizzarne nel dettaglio le principali caratteristiche tecniche insieme al tecnico Michele Palmisano.
La Katana segue i canoni attuali del codino corto e a sbalzo. Katana è il nome della spada dei Samurai. Il serbatoi ripete gli stilemi del passato. La Katana originale montava i semi-manubri.
La dinamica
Premesso che la Katana deriva dalla GSX-S1000, ovvero una delle naked a nostro giudizio più riuscite nell’affollato panorama di questo segmento, la posizione di guida è indovinata, anche se i piloti di tagli più minuta avranno qualche difficoltà in più a dominarla nelle manovre. I comandi sono al posto giusto e la distanza tra manopole, punto di appoggio sulla sella e pedane fa assumere u a posizione naturale che anche su tragitti piuttosto lunghi non affatica, pur con gli inevitabili ‘disagi’ derivati dall’assenza di un’efficace protezione aerodinamica. E meno male che non hanno replicato i semi manubri della Katana originale… Rispetto al GSX-S abbiamo apprezzato il serbatoio più stretto nella zona di raccordo con la sella, uno spunto del designer che in questo caso aiuta l’ergonomia.

Il serbatoio è indubbiamente evocativo, con quelle due grandi scritte sui fianchi che oggi non si usano più e che in questo caso danno carattere alla vista dall’alto. Lo stile ha obbligato a ridurne la capacità e l’autonomia, cosa che però, non dovendo utilizzare la Katana nel deserto, non è poi un grande guaio. Il motore è senza dubbio il punto di forza della Katana: è quello della GSX-R1000 K5 con potenza limitata a 150 CV a favore di una curva di coppia più favorevole ai regimi medi, dove davvero esprime una corposità eccellente. Potente quanto basta per dare forti emozioni quando si cerca il fondo dell’acceleratore, è comunque mansueto quando non si ha fretta. Reagisce con prontezza alle piccole aperture del gas e occorre un po’ di abitudine al tipico on-off, che nonostante lo sviluppo dell’elettronica non si è ancora riusciti ad eliminare del tutto, e non solo sulla Katana. La dotazione di serie comprende poi pure il Suzuki Easy Start System e il Low RPM Assist, che facilitano gli avviamenti e le partenze, facilitando la guida, specie nell’uso nel traffico quotidiano.
I supporti rialzati del manubrio. Lo strumento è totalmente digitale. La grande scritta SUZUKI sul serbatoio è fortemente evocativa. Il comando del cambio non prevede il quick-shift. Le pedane sono pieghevoli.
La Katana predilige le strade tutto curve, dove di disimpegna bene e da grandi soddisfazioni sia ai neofiti, che con cautela si sentiranno padroni del mezzo, sia ai più smaliziati, che faranno comunque fatica a trovare il fondo corsa del gas tra una curva e l’altra. Le sospensioni sono un po’ rigide e questo rende la moto molto piacevole quando l’asfalto è asciutto ed è un biliardo. Un po’ meno quando c’è umido in terra e non mancano le buche, come in molti tratti di strada sotto gli alberi sui quali batte raramente il sole. Una moto sincera, insomma, sulla quale non si sente la mancanza dei gadget elettronici (c’è solo il controllo di trazione, una buona cosa, regolabile su tre livelli ed escludibile) e che con un minimo di sensibilità nel polso destro fa tutto ciò che volete faccia, e molto bene.
Non è una moto ignorante, la Katana, ma piuttosto un mezzo al passo coi tempi che è stata volutamente resa semplice da capire e da guidare. E che, cosa non trascurabile, non passa di certo inosservata.
L’analisi tecnica: tutti i segreti, nascosti, della Katana
Per realizzare la nuova Katana alla Suzuki sono partiti da una base assai solida, ovvero quella della GSX-S1000, una naked (che esiste però anche nella versione F carenata) a sua volta derivata dalla supersportiva GSX-R1000 di qualche anno fa. La GSX-S è una moto che ha riscosso ampi consensi e la Katana non può che confermarne le eccellenti doti. Il telaio è formato da due robuste travi di alluminio pressofuso conformate in modo da collegare direttamente il cannotto di sterzo col perno del forcellone.

Il modo migliore per avere una struttura rigida torsionalmente e leggera. Il forcellone, anch’esso di alluminio è lo stesso della GSX-R1000 del 2016: un elemento ben strutturato che garantisce elevata rigidezza sotto il tiro della catena e le forze laterali a moto inclinata. Il motore ne è parte integrante e stressata e ne completa la struttura, secondo uno schema ormai abituale nella tipologia ‘deltabox’ introdotta nei GP ormai da decenni.

Le principali dimensioni della ciclistica sono:
Passo: 1.460 mm
Inclinazione del cannotto: 25°
Avancorsa: 100 mm
Lunghezza forcellone: 585 mm
Altezza della sella: 825 mm
Pneumatico anteriore: 120/70ZR17 Dunlop Sportmax Roadsport 2
Pneumatico posteriore: 190/50ZR17 Dunlop Sportmax Roadsport 2

La ciclistica è completata da una forcella rovesciata KYB con steli da 43 mm con una corsa di 120 mm regolabile nel precarico molla e nel freno idraulico in compressione ed estensione (rebound). L’ammortizzatore è regolabile nel precarico molla e nell’idraulica in estensione.
Spogliata del serbatoio e di parte delle sovrastrutture si evidenzia il telaio di alluminio. La ghiera di regolazione del precarico molla ammortizzatore. La vite di regolazione dell’idraulica in rebound. La vite di regolazione dell’idraulica in compressione. Quella per il rebound è all’estremità superiore dello stelo.
Per quanto riguarda i freni, all’anteriore ci sono due dischi flottanti di diametro 310 mm sul quali agiscono pinze Brempo monoblocco con quattro pistoncini da 32 mm, gli stessi utilizzati sulla GSX-R1000. La centralina dell’ABS, prodotta dalla Bosch, pesa solo 640 gr.

Per quanto riguarda il motore, anche in questo caso la scelta è stata conservativa: si tratta del poderoso quattro cilindri in linea della GSX-R1000 prodotta tra il 2005 e il 2008. Un’unità ancora attuale che è stata ammansita limitando la potenza a 150 CV per privilegiare l’erogazione.
Il compatto quattro cilindri incastonato nel telaio. Il motore è corto grazie al posizionamento degli alberi motore e cambio.
Questo grazie alla corsa relativamente lunga (59 mm accoppiata a una corsa di 73,4 mm) rispetto alle tendenze più recenti, per via dei regimi sempre più alti ai quali si vanno a cercare i picchi di potenza. Come i motori di ultima generazione anche questo è corto, grazie alla posizione relativa dell’albero motore e degli alberi del cambio, e questo consente di limitare l’interasse, e di spostare il peso in avanti adottando un forcellone lungo (circa 585 mm da centro perno a centro ruota) che aiuta ad avere la migliore trazione.
Le principali caratteristiche del motore:
Alesaggio e Corsa: 73,4 x 59 mm
Cilindrata: 999 cc
Rapporto di compressione: 12,2:1
Potenza max: 110 kW-150 CV @10.000 giri/min
Coppia max: 108 Nm @ 9.500 giri(min
Il sistema di iniezione è costituito da corpi farfallati da 44 mm con doppia valvola a farfalla, una elettronica e l’altra controllata dall’acceleratore. Gli iniettori hanno 10 fori e la combustione è controllata da una sonda lambda che consente di rispettare la normativa Euro4. Il dispositivo Low RPM Assist rileva il regime del minimo istantaneo e lo varia per aiutare a prevenire lo stallo del motore nelle partenze o a bassa velocità.
La manutenzione
La scheda di manutenzione prevista per la Suzuki Katana rientra negli standard di questo tipo di moto e non presenta particolari criticità. Le operazioni sono relativamente semplici e poco costose quando effettuate presso la rete di assistenza ufficiale Suzuki. Nella sequenza fotografica vi mostriamo alcuni dettagli dei tre interventi più importanti oggetto del tagliando.
Ringraziamo Michele Palmisano di Suzuki Italia per averci guidato in questa analisi. Lo smontaggio delle sovrastrutture richiede un po’ di pratica e la consultazione del manuale d’officina. Il primo silenziatore posto sotto il motore. La batteria è posizionata sotto la sella. La scatola dei fusibili. Tolte le sovrastrutture si può sollevare il serbatoio di capacità 12 litri. Il supporto anteriore del serbatoio è di alluminio pressofuso.
Per quanto riguarda il filtro dell’aria, la Casa prescrive l’ispezione dopo i primi 12.000 km, dopo altri 12.000 km e la sostituzione raggiunti i 36.000 km. Ovviamente l’intervallo è variabile in funzione dell’ambiente in cui si circola. Non è prevista la pulizia e dunque se prima dell’intervallo prescritto visivamente è intasato deve essere sostituito. Sulla scatola filtro è previsto un tubetto di spurgo della condensa che deve essere ispezionato in occasione dei tagliandi.
Innanzitutto occorre rimuovere la centralina dal coperchio della scatola filtro. Svitare le 10 viti perimetrali. Ricordarsi della vite centrale nascosta sotto un tappino di gomma! Il filtro in posizione. La parte filtrante deve essere ispezionata secondo prescrizione e sostituita quando intasata oppure secondo la prescrizione della Casa. Non è previsto il soffiaggio in controcorrente.
L’usura delle pastiglie freno anteriori si può verificare visivamente. La scanalatura deve essere sempre presente. Quando sparisce il consumo ha raggiunto il limite e le pastiglie devono essere sostituite. Per eseguire questa operazione le pinze devono essere smontate dai supporti. Al rimontaggio le viti di fissaggio devono essere serrate alla coppia di 39 Nm.
L’impianto frenante monta pinze monoblocco Brembo radiali e dischi flottanti da 310 mm. Le scanalature che indicano l’usura delle pastiglie. Per sostituire lepastiglie occorre smontare le pinze dai supporti. La coppia di serraggio al rimontaggio è di 39 Nm. Le pastiglie si sfilano dall’interno. La pastiglia (in questo caso ancora funzionale). Dopo aver rimontato le pastiglie effettuare una serie di pompate per riportare i pistoncini contro le pastiglie.
Per sostituire le pastiglie freno posteriore occorre prima svitare il tappino e quindi il perno che le trattiene in posizione e quindi la vite che fissa la pinza alla piastra. Fatto questo basta ruotare in avanti la pinza, estrarre il perno e togliere le pastiglie. Al rimontaggio la coppia di serraggio del perno è di 18 Nm, quella del tappino 2,5 Nm e quella della vite 22 Nm. Anche in questo caso è possibile verificare visivamente la presenza della scanalatura che indica l’usura.

Il cambio olio è prescritto dopo i primi 1.000 km e quindi a intervalli di 7.500 km. Il filtro a cartuccia deve invece essere sostituito a 1.000 km e quindi a intervalli di 15.000 km. La vite di scarico è posta sul fondo della coppa e deve essere avvitata a una coppia di 23 Nm dopo aver sostituito la guarnizione.
La Casa prescrive l’utilizzo di lubrificante di qualità di SAE 10-W40 API SJ/SL/JASO MA-2 nelle quantità 2.800 ml (semplice cambio olio); 3.200 ml (cambio olio e filtro a cartuccia); 3.400 ml (dopo revisione).
La vite di scarico dell’olio è sul fondo della coppa. La vite va poi serrata a 23 Nm dopo aver sostituito la guarnizione. Sotto il filtro a cartuccia c’è lo scambiatore a piastre acqua-olio. Per svitare la cartuccia occorre un apposito attrezzo. La coppia di chiusura è di 20 Nm. Al rimontaggio ricordarsi di lubrificare la guarnizione. La finestrella per verificare il livello olio. Il riempimento avviene dal tappo posto in alto sul coperchio della frizione.
Ringraziamo Suzuki Italia e in particolare l’ingegner Michele Palmisano per l’assistenza durante la realizzazione di questo servizio.
