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Luca de Meo, Renault: “l’Europa aiuti l’auto (elettrica)”. L’autogol è dietro l’angolo?

FILE PHOTO: Luca de Meo, Chief Executive Officer of Groupe Renault, speaks during a news conference about Renault electric strategy during Renault eWays event in Meudon, France, October 15, 2020. REUTERS/Benoit Tessier
Tempo di lettura: 4 minuti

“Gli Stati Uniti incentivano, i cinesi pianificano, gli europei regolamentano.” Con queste parole estremamente d’attualità, Luca de Meo, AD del Gruppo Renault, si rivolge all’Europa in vista delle prossime elezioni e lo fa attraverso una lettera in cui racconta lo stato attuale della transizione elettrica.

Tramite una roadmap precisa, il manager italiano, formula anche sette raccomandazioni e otto misure per sviluppare una vera e propria politica industriale europea, competitiva e decarbonizzata.

Lettera all’Europa di Luca de Meo: cosa dice

La Lettera all’Europa di Luca de Meo promuove un’azione collettiva per affrontare una delle sfide più urgenti dell’industria automobilistica europea. La diagnosi presentata nella Lettera è costruita sulla base dei fatti, per formulare raccomandazioni concrete:

  1. Definire una strategia industriale per l’Europa, in cui l’industria automobilistica sia uno dei pilastri principali. Il settore automotive rappresenta più di 1/3 dell’industria totale europea. L’Europa ha bisogno di un quadro regolatorio con una base stabile ma in evoluzione nei contenuti, seguendo l’esempio del modello cinese. È essenziale creare condizioni favorevoli alla nascita di nuove aziende europee sul modello Airbus, con competenze in tecnologie chiave.
  2. Mettere attorno a un tavolo tutte le parti interessate per sviluppare questa strategia: scienziati, industrie, associazioni, sindacati e ONG.
  3. Porre fine all’attuale sistema basato sull’introduzione continua di nuove norme, la fissazione di scadenze e la minaccia di multe in caso di non applicazione. Per i nuovi “tipi” (nuovi modelli, nuove tecnologie), è necessario rivedere l’elenco degli standard definiti per i prossimi 6 anni. Raccomandiamo la creazione di un organismo centrale che monitori e valuti tutti i regolamenti, il loro impatto diretto e indiretto e la loro interazione con altre normative, prima che vengano applicati all’industria.
  4. Adottare un approccio orizzontale, non solo verticale. Il prodotto finale (l’auto) e le sue tecnologie non possono essere gli unici aspetti presi in considerazione. Per accelerare la diffusione dei veicoli elettrici, bisogna garantire, ad esempio, che l’energia utilizzata sia a emissioni zero e sia disponibile in quantità sufficienti.
  5. Ricreare le capacità di approvvigionamento di materie prime e componenti elettronici, sviluppare le nostre competenze nel software e stabilire una sovranità europea nel cloud. Potrebbe essere creata, ad esempio, una piattaforma di acquisto europea per le materie prime critiche (come è stato fatto per il gas o per i vaccini anti-covid). Anche la gestione delle scorte per i vari operatori potrebbe essere messa in comune.
  6. Con la Cina che cerca di dominare il mondo e gli Stati Uniti che proteggono il loro territorio, l’Europa deve inventare un modello ibrido. Ciò significa cominciare con un approccio difensivo, per consentire un buon avvio, prima di partire alla conquista di mercati mondiali.
  7. L’industria automobilistica non sta rimettendo in discussione il “Green Deal” o la necessità di una mobilità a basse emissioni di carbonio. Lo ha dimostrato investendo 252 miliardi di euro in questa transizione. Ma chiede che vengano riesaminate le condizioni di attuazione di questa strategia globale.

Le proposte nella lettera

  1. Adottare un principio di neutralità tecnologica e scientifica; in termini concreti, ciò significa evitare di dettare scelte “tecnologiche” alle industrie.
  2. Coinvolgere le 200 città più grandi d’Europa nella strategia di decarbonizzazione dell’industria automobilistica.
  3. Introdurre una sorta di “Champions League” industriale attraverso un sistema di bonus-malus, che premi i migliori e penalizzi chi non sta al gioco, in tutti i settori.
  4. Creare zone economiche “green” sul modello delle zone economiche speciali cinesi. Queste aree riceverebbero maggiori sovvenzioni e investimenti industriali; tasse e oneri sociali sarebbero ridotti per dieci anni; e i guadagni sui capitali investiti dal sistema finanziario sarebbero esenti da imposte.
  5. Assegnare all’industria automobilistica una quota di energia verde e a basso costo. Ciò la aiuterebbe a produrre le batterie, gestire l’infrastruttura cloud e promuovere la mobilità sostenibile per la clientela.
  6. Accelerare lo sviluppo di veicoli autonomi intelligenti e iperconnessi.
  7. Coinvolgere il pubblico nella transizione ecologica tornando alle basi dell’industria automobilistica: lo sviluppo di massa di veicoli di piccole dimensioni per l’utilizzo urbano e le consegne dell’ultimo miglio.
  8. Creare un new deal tra settore pubblico e privato per raggiungere rapidamente la massa critica a livello europeo.

Tante buone proposte, ma forse ci perdiamo qualcosa…

Questa è solo una parte del documento, che ha nei suoi punti molti elementi di grande interesse (come lo sviluppo degli e-fuel facente parte del primo punto sulla neutralità tecnologica) e i dati nelle 20 pagine del documento sono esemplificativi di quanto l’Europa debba stare accanto alla sua industria automobilistica, come fanno alcuni continenti “competitor”.

C’è qualcosa che viene un po’ trascurato, però, portando i dubbi dei più scettici alla domanda: non ci staremo facendo un autogol con tutte queste restrizioni, addirittura con appelli all’Europa, per chiedere maggiore attenzione alla transizione elettrica, mentre il resto del mondo procede a una velocità che definire da “lumaca” è dire poco? Tutto ciò senza dimenticare il fatto che l’apporto europeo influisce per il 7% delle emissioni globali e i trasporti sono solamente una parte di questo inquinamento. La Cina, che sta mangiando sempre più terreno in fatto di auto elettrica nei confronti del resto del mondo, emette il 33% sul totale, gli USA il 12, 5%, l’India il 7% e la Russia il 5% (Fonte: CO2 emissions of all world countries, 2022 Report).

Ovviamente, bisogna considerare anche il mercato, che durante questi momenti di svolta, è la vera cartina di tornasole del vero interesse per l’elettrico. I risultati ci diranno non se l’auto elettrica sarà il futuro, ma principalmente quando l’auto elettrica sarà il presente e potrà camminare con le proprie gambe. Nel frattempo stiamo gettando letteralmente al vento decenni di know how su “come si fanno” le auto tradizionali, che hanno caratterizzato quantità e qualità di impiego negli ultimi 100 anni.

La speranza è che l’auto non diventi un prodotto destinato esclusivamente a una piccola elite, che non torni a essere il bene di lusso che era prima del boom economico, come abbiamo letto in qualche nefasta previsione degli scorsi mesi.

Nella nostra “lettera all’Europa”, chiederemmo solamente una cosa: affidatevi a chi è esperto di auto e trasporti, senza alcun interesse aziendale.

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