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Ducati 750S: la sportiva italiana

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La Ducati 750S ha un legame particolare con Torino. Fu lì, infatti, che nel 1972 la Casa bolognese decise di presentare al pubblico la sua prima bicilindrica sportiva, derivata dalla 750 GT, la moto che aveva segnato l’ingresso della Ducati tra i Costruttori di maximoto.

E fu sempre a Torino che Sergio Bongiovanni, il non dimenticato campione italiano della montagna con la Itom 50 e all’epoca titolare di un bel negozio di accessori le fece fare i primi passi: “Fu il mio amico Ermanno Giuliano che mi fece provare il prototipo della GT. All’epoca correva per la Ducati e faceva il collaudatore, col compito di macinare chilometri su chilometri per trovare i difetti e dar modo alla Casa di correggerli. In inverno girava nel sud Italia e con la bella stagione tornava a Torino, di cui era originario, passando spesso a trovarmi in negozio. Fui subito impressionato dalla nuova moto ed ebbi anche la fortuna di provarla a fondo, proprio per passare a Ermanno le mie impressioni”.

Prime prove

A Torino, a cavallo degli anni ’70, Bongiovanni era considerato uno dei centauri più veloci sulla piazza e confrontarsi con lui in moto era un po’ come passare un esame. Per questo Giuliano, all’epoca già un giovane ma promettente pilota, chiese a Bongiovanni qualche parere sulla GT: “Non vorrei peccare di immodestia, ma dopo la prova feci una breve relazione su ciò che a mio avviso poteva essere migliorato e scoprii poi che sulla moto di serie fecero anche quelle modifiche. Ripeto, magari erano già stati previsti, ma allungarono la prima e ridussero un po’ l’avancorsa, proprio come gli scrissi io…”.

In effetti il primo prototipo circolante montava una forcella Marzocchi col perno centrale che fu poi infatti sostituita da un’altra Marzocchi col perno avanzato. “Da quella volta, sempre attraverso Giuliano, provai anche le successive versioni”, prosegue Bongiovanni. “Prima la 750S, che tenni per un paio d’anni e quindi la 750SS che restò la moto cui mi affezionai più di ogni altra, che utilizzai ininterrottamente per 11 anni, percorrendo oltre 70.000 chilometri. Da allora ebbi sempre contatti con la Casa”.

Quando apparve al Salone delle Vacanze di Torino i due esemplari esposti differivano per pochi dettagli cromatici, nei silenziatori e per avere uno oppure due dischi anteriori, con pinze Lockeed. A disco anche il freno posteriore. Entrambi montavano il cupolino e una delle due aveva i silenziatori Conti di forma assai accattivante, che ricordava le curve dei tromboni delle Benelli quattro cilindri da GP, che però non andarono sulla moto di serie.

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Pronta per le corse

All’epoca moto così spiccatamente sportive ce n’erano solo due: la Laverda 750 SFC e la Norton Commando 750 Production Racer, entrambe nate per le gare destinate alle ‘derivate di serie’. La Ducati 750S era la terza e anticipava la volontà della Casa felsinea di dedicarsi con impegno anche alle corse.

Testimone di ciò fu la partecipazione di Fabio Taglioni in persona alla 200 Miglia di Daytona del ’72, anticamera della ‘Daytona europea’ che si a Imola. Taglioni aveva evidentemente già in serbo l’arma per Imola, ovvero la 750 con la distribuzione desmodromica che poi vincerà la corsa con Paul Smart. Ma evidentemente non si vollero anticipare i tempi, uscendo con una moto di serie con la distribuzione convenzionale e di evidente derivazione dalla GT.

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Niente Desmo

Per la distribuzione si seguirono i canoni ben noti del monocilindrico: distribuzione monoalbero in testa comandato da un albero verticale con alle estremità due coppie coniche con dentatura elicoidale. Le valvole erano richiamate dalle usuali molle.

Il sistema desmodromico, adottato su talune versioni stradali del mono e sulle moto da corsa fu tenuto in disparte. Non c’era in effetti motivo di complicare ulteriormente la meccanica di questo motore già piuttosto laborioso in fase di montaggio.

La complessità meccanica dei bicilindrici Ducati di prima generazione richiedeva infatti grande cura, non sempre riscontrabile in una linea di montaggio votata alla produzione di serie. E questo influì negativamente sull’immagine di queste moto, a torto tacciate di una fragilità meccanica che non era assolutamente insita nel progetto ma in un montaggio talvolta non eseguito a regola d’arte.

Ne è testimone ancora Bongiovanni, che dopo la 750S passò alla SS, evidentemente assemblata con la dovuta cura dalla Casa: “Con la 750SS non ebbi mai nessun problema meccanico. E vi assicuro che ogni uscita tiravamo sempre a ‘tutto vapore’… Oltre alle normali manutenzioni cambiai giusto un paio di volte i pistoni più che altro per scrupolo, quando usciva un fumetto blu dallo scarico e dallo sfiato… Nient’altro”.

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La 750S

La 750S ricorda nello spirito la Laverda 750 SFC, che debuttò in pubblico solo pochi mesi prima, al Salone di Milano del 1971. Entrambe seguivano il filone lanciato dalle Case inglesi si sfidavano al Tourist Trophy nelle gare ‘Production’ e lla 500 Miglia di Thruxton. Nacquero così le Triumph Bonneville Thruxton e le Norton Commando Production Racer che, con sella monoposto, mezzi manubri, pedane arretrate e cupolino, crearono uno stile ancora in voga oggi tra gli amanti delle Café Racer.

Ducati si adeguò e superò le inglesi con una meccanica più moderna e le cui potenzialità emersero subito alla 200 Miglia di Imola con i primi due posti conquistati da Smart e Spaggiari sulla versione ulteriormente sviluppata della S sulla quale spiccava la distribuzione desmodromica.

La 750S passò quindi in poco tempo da ‘versione-sportiva’ della GT a ‘quasi-replica’ delle moto vincitrici a Imola e dopo solo un anno a ‘versione-meno-sportiva’ della 750SS che, dotata della sofisticata distribuzione desmodromica, fu presentata nel 1973 e decretò di fatto il suo pensionamento.

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Le differenza con la GT

Rispetto alla GT il motore è potenziato portando la compressione a 9:1 e montando i nuovi carburatori Dell’Orto PHF da 32 mm al posto degli Amal Concentric. Il manubrio è in due pezzi montato sugli steli della forcella Marzocchi da 38 mm cui sono anche fissati i supporti del faro.

Il disco anteriore mantiene la pinza Lockeed e sull’altro fodero ci sono gli attacchi per la seconda pinza, proposta come optional. Sulla moto prodotta in serie, nonostante a Torino le due moto esposte avessero il disco, dietro c’è lo stesso tamburo Grimeca della GT, un ‘camma singola’ di diametro 210 mm. Serbatoio e sella sono inediti è spiccano nel colore giallo ocra che ritroveremo anche sulla monocilindrica 350 Desmo.

Inizialmente il colore sarà interrotto da vistosi fregi a Z neri, poi, per le versioni più recenti questi lasceranno il posto a una grafica come l’esemplare del servizio, uno degli ultimi prodotti.

Il telaio è inizialmente quello della GT, poi denominato ‘largo’ per distinguerlo dal successivo ‘stretto’ ridimensionato per la SS. Il freno anteriore si evolve dapprima con una pinza Scarab, copia italiana della Lockeed e quindi, verso il termine della produzione si passa alla Brembo.

Contestualmente la forcella resta Marzocchi ma torna col perno in asse. Nel motore segnaliamo che l’ultima serie monta bilancieri con il registro del gioco valvola a vite, più pratico del precedente con spessori calibrati. Bassa, filante, stabile, potente e ben frenata e una ventina di chili sotto le ‘giapponesi’ del periodo la Ducati rappresentava, allora come oggi, l’essenza della moto sportiva ‘made in Italy’.

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