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Chrysler rifiuta il richiamo di 2,7 milioni di Jeep per rischio d’incendio

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Chissà se al tempo della fusione tra il gigante americano ed il gruppo FIAT Sergio Marchionne, sapendo del futuro polverone che lo aspettava, non avrebbe accettato l’eredità di Detroit – come si dice in giuridichese – con beneficio d’inventario.

Fatto sta che Chrysler si rifiuta di richiamare circa 2,7 milioni di Jeep Grand Cherokee e Liberty prodotte tra il 1993 ed il 2007, ritenendo infondate le preoccupazioni dell’americana NHTSA (National Highway Traffic Safety Administration) relative alla possibilità che il serbatoio del carburante installato su questi modelli possa causare incendi e morti.

Tutto è cominciato con una lettera del 3 giugno scorso a Chrysler, in cui l’autorità per la sicurezza stradale negli Stati Uniti affermava che un’inchiesta interna aveva rivelato “numerosi decessi e ferimenti a causa d’incendio, incendi che non hanno portato a morti e perdite di carburante a seguito di urti posteriori”. L’agenzia nella lettera di 13 pagine sostiene che 51 persone sono state uccise a causa di incendi conseguenti a tamponamenti in cui erano coinvolti i modelli Grand Cherokee e Liberty.

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Una delle immagini diffuse dalla NHTSA che mostra un Jeep Grand Cherokee in fiamme a seguito di un tamponamento

L’NHTSA vuole che Detroit esegua un maxi-richiamo sui Jeep Grand Cherokee prodotti nel periodo 1993-2004 e sui Jeep Liberty tra il 2002 ed il 2007, sostenendo che tali modelli sono dotati di serbatoi di carburante collocati dietro l’assale posteriore, posizione che li rende meno protetti in caso di tamponamento e che potrebbe potenzialmente causare una perdita di carburante e causare un incendio.

Chrysler senza mezzi termini ha affermato in un comunicato che non intende richiamare i SUV di cui sopra, in quanto li considera sicuri e rispondenti alle normative al tempo vigenti. “L’azienda difende la qualità dei propri veicoli” ha detto l’amministratore delegato Sergio Marchionne, “Tutti noi ci impegniamo a proseguire la collaborazione con la NHTSA per fornire informazioni che confermino la sicurezza di questi veicoli”.

È cosa piuttosto insolita per le case automobilistiche sfidare l’NHTSA su questioni che concernono la sicurezza, ma la netta risposta del gruppo italo-americano fa capire che il produttore vive l’episodio come un’ingiusta pugnalata alle spalle. In una dichiarazione David Strickland, alto funzionario addetto alla sicurezza automobilistica americana, ha esortato Chrysler a riconsiderare la sua decisione: “Il pubblico deve sapere che NHTSA sta studiando attivamente la questione e chiede a Chrysler di avviare un richiamo e informare del difetto tutti i proprietari interessati. NHTSA spera che Chrysler riconsidererà la sua posizione e prenderà provvedimenti per proteggere i propri clienti e tutti gli automobilisti”. Mr. Strickland spiega così la decisione dell’agenzia: “I nostri dati mostrano che questi veicoli possono contenere un difetto che presenta un rischio irragionevole per la sicurezza, motivo per cui abbiamo deciso di scrivere a Chrysler”.

L’analisi della società guidata da Marchionne ha mostrato che le perdite di carburante ed i conseguenti incendi si sono verificati “meno di una volta per ogni milione di anni di funzionamento dei veicoli”, mentre la NHTSA replica affermando che i SUV di società concorrenti hanno tassi intorno alla metà, quindi le Jeep “sono meno efficienti”. Chrysler liquida tali numeri, e le differenze tra loro, come talmente piccoli da risultare statisticamente insignificanti, ma lo spostamento del serbatoio nel Liberty davanti all’assale posteriore effettuato da Chrysler stessa nel 2008 è un altro argomento forte su cui l’agenzia governativa insiste.

In ogni caso, Chrysler ha tempo fino al 18 giugno per rispondere formalmente alla NHTSA. Se non riuscirà a convincere l’agenzia ad abbandonare la richiesta, questa potrebbe tenere un’audizione pubblica sulla questione. Mr. Strickland ha il potere di emettere una decisione definitiva ed imporre a Chrysler una campagna, ma anche se ciò si verificasse Chrysler potrebbe contestare tale ordine portandolo di fronte alla Corte Federale. Allo stesso modo la NHTSA potrebbe affrontare Chrysler in tribunale per obbligarla a rispettare il richiamo, così a seguito della decisione definitiva il produttore di Detroit si vedrebbe costretto ad inviare lettere ai proprietari dei veicoli interessati.

Negli ultimi anni, Chrysler ha condotto 52 richiami, di cui 49 avviati spontaneamente. Rifiutare un ordine di questo genere è cosa rara nel settore auto: l’ultima volta che Chrysler lo ha fatto è stato nel 1997, ma anche Toyota inizialmente provò a resistere alla richiesta del 2010 relativa ai freni della Prius ibrida. Allo stesso modo Ford ha richiamato i suoi Freestar e Monterey per problemi alla trasmissione solo nel 2012, dopo anni di trattative con la NHTSA.

La questione è ancora completamente aperta. Dopo l’umiliante pubblica gogna subita da Toyota negli ultimi anni a seguito del ritardo nei richiami, i produttori d’auto sono sempre stati molto solerti e celeri nel correggere gli eventuali difetti riscontrati nei propri prodotti. Ma il caso Jeep è più complicato, perché da un lato si basa su numeri altamente interpretabili e dall’altro il cambio di posizione del serbatoio carburante in 2,7 milioni di auto richiederebbe sforzi finanziari ed ingegneristici forse insostenibili. La coraggiosa e secca risposta di Chrysler alla NHTSA fa intuire che, dati e conti alla mano, il produttore non ha intenzione di adeguarsi al richiamo ed è intenzionato a far valere le proprie ragioni. La partita, però, è appena cominciata.

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